CHI VA E CHI VIENE

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L'AEROPORTO DEL MESE

LA COMPAGNIA DEL MESE

de bortoli qlivrea alitalia hiIl miglior editoriale dedicato all’infinita crisi di Alitalia è stato compilato dall’ex direttore Ferruccio de Bortoli e pubblicato dal Corriere della Sera l’11 gennaio 2017. Lo pubblichiamo integralmente, riconoscendo l’autorità della maggior testata giornalistica italiana. Qui il link diretto all’articolo.

Ai tempi d’oro dell’IRI, l’Alitalia era la punta di diamante della presenza dello Stato in economia. La vetrina nella quale specchiarsi. Il mercato del trasporto aereo era appannaggio quasi esclusivo delle compagnie di bandiera, regolato dai rapporti tra Stati. Il suo presidente, tra il ’78 e l’88, era Umberto Nordio. Espressione massima del boiardo di Stato: temuto, corteggiato, invidiato. Si arrivò addirittura a pensare che il mondo dell’IRI potesse avere un grattacielo a New York, espressione della propria forza industriale. Chi avrebbe dovuto realizzare il sogno italiano? L’Alitalia. Su questo e altri temi epico fu lo scontro, nell’88, fra Nordio e il presidente dell’IRI Romano Prodi. È passata un’eternità. La compagnia è stata privatizzata, salvata più volte, rimpicciolita, eppure è ancora sull’orlo del precipizio. La girandola di azionisti è stata vorticosa. Gli amministratori delegati si sono succeduti con la frequenza degli allenatori di calcio sulla panchina più instabile: uno in media all’anno. Sono stati fatti innumerevoli piani di rilancio da uno stuolo di consulenti, pagati fino a un milione di euro a studio per dire sempre le stesse cose. Anche Etihad, che ha il 49% del capitale, non sembra essere riuscita nell’impresa di strappare Alitalia al suo destino. I numeri sono impietosi: la società ha una perdita operativa, non considerando le partite straordinarie, di 500 milioni l’anno, accumulata nel periodo più favorevole per il prezzo del petrolio, prima voce di costo. Si riparla nuovamente di esuberi: almeno 1.500. Secondo altre fonti molti di più. Il governo chiede un piano preciso prima di tornare a discutere di tagli. Quello precedente aveva pregato Alitalia di astenersi da annunci prima del referendum del 4 dicembre 2016. Le banche creditrici e azioniste, Intesa Sanpaolo e Unicredit, hanno espresso la loro sfiducia nell’amministratore delegato, l’australiano Cramer Ball. Gli azionisti di Abu Dhabi, convinti nel 2014 a investire in Italia dall’attuale presidente Luca di Montezemolo, sostengono che il governo non ha mantenuto tutte le promesse (esempio, più voli da due ore a Linate). L’idea che Alitalia possa alimentare il loro hub è venuta un po’ meno. Delusi sì ma anche deludenti. C’è un dato che spiega quanto sia cambiato in profondità il trasporto aereo. La quota di mercato in Italia di Ryanair è passata, negli ultimi cinque anni, dal 20 al 30%. È il primo operatore nazionale. Lo è diventato grazie a qualche aiuto (Regioni) e molta insipienza. In altri Paesi non è accaduto. La compagnia low cost irlandese - che senza la liberalizzazione europea non sarebbe mai esistita - ha annunciato che investirà ancora di più nel nostro Paese mettendo a disposizione delle sue rotte altri venti aeromobili. Il mercato cresce del 4% l’anno. E Ryanair guadagna. La domanda principale è questa: Alitalia è in grado, trasformandosi, di farle concorrenza nel cosiddetto corto raggio? Nel medio e lungo raggio, nonostante nuove rotte (Pechino, Seul) e servizi decisamente migliori, gli spazi di mercato premium sono ancora più impegnativi. E non si potrà fare a meno di un alleato di peso (Lufthansa?) vista l’impossibilità di Etihad di crescere nell’azionariato di una compagnia che non può che restare europea. Le destinazioni americane, tra le più redditizie, sono precluse da accordi precedenti (Delta, Air France). I cosiddetti slot più ambiti sono stati venduti, come argenteria, nei momenti di magra. Alitalia non riesce a volare come vorrebbe il mattino presto su Londra.Scrivere e condividere un piano di rilancio sarà impresa ardua. Al momento c’è poco. La governance dovrà essere rivista, probabile un radicale cambio alla dirigenza. Non è solo una questione di costo del lavoro che è di circa 600 milioni l’anno, anche se il personale di staff (4.000 su circa 13.000 dipendenti) è sproporzionato. Ma è il cosiddetto modello di business l’ostacolo maggiore. Se si deciderà di dar vita a un nuovo operatore sul corto raggio non si potrà sfuggire da alcuni raffronti. Ryanair ed easyJet hanno costi di funzionamento abissalmente più bassi, fino al 67% in meno. Riempiono i voli quasi al 100%. Alitalia supera di poco il 70%. Ryanair serve nella Penisola più aeroporti di tutti. Ha 350 connessioni da e verso l’Italia. Alitalia solo 150 e non può più permettersi di servire destinazioni in perdita (Roma-Malpensa; Roma-Reggio Calabria, ecc.). “In Europa c’è un eccesso di capacità produttiva - spiega Andrea Boitani, docente di Economia politica alla Università Cattolica di Milano - Lufthansa e KLM - Air France riescono a fatica a integrare il loro network di voli con il corto raggio che alimenta le distanze più lunghe. Alitalia era già senza speranze nel 2000. Bisognava chiuderla e trasformarla. Con coraggio. Chiamarla compagnia di bandiera non ha più senso. E nemmeno la giustificazione che possa aiutare, così come oggi, il turismo non regge più”. Boitani si riferisce a quello che accadde nella crisi che esplose nel 2006. Il governo Prodi era sul punto di cedere, nel marzo del 2008, Alitalia a KLM - Air France per 1,7 miliardi con 2.100 esuberi. Il sindacato si oppose. Il dossier infuocò la campagna elettorale. Berlusconi appoggiò il formarsi di una cordata di imprenditori italiani con la giustificazione che se Alitalia fosse finita in mani francesi “i turisti avrebbero visitato di più i castelli della Loira delle nostre città d’arte”. Il piano Fenice, studiato da Corrado Passera, allora amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, fondeva Alitalia con la zoppicante e indebitata AirOne. Il Sole 24Ore, che prese una posizione contraria al proprio azionista impegnato nella cordata patriottica, calcolò già allora il maggior costo per la collettività (e in parte per azionisti e obbligazionisti) della proposta dei cosiddetti capitani coraggiosi: tra 3 e 4 miliardi di euro. Fu concessa una cassa integrazione con uno scivolo di sette anni, finanziata anche con un rincaro di 3 euro a biglietto. Nel 2015 Mediobanca ha stimato quanto sia costata al Paese la pessima gestione di Alitalia degli ultimi quarant’anni: 7,4 miliardi. I tempi di Nordio sono finiti da un pezzo, ma i nostalgici della compagnia di bandiera, generosa in assunzioni e servizi, delle partecipazioni statali legate a doppio filo con la politica, del peggior potere sindacale, resistono. Tra i piloti c’è chi abita a Marbella e il sindacato insiste perché venga pagato il trasporto sul posto di lavoro. E anche tra i molti azionisti succedutisi negli anni c’era la radicata riserva mentale che, alla fine, lo Stato avrebbe fatto il pagatore di ultima istanza. Ma il conto è già colossale e insopportabile.

 

pasquini raffaeleemirates a380Raffaele Pasquini, che in AdR Aeroporti di Roma ricopre la carica di resp. Sviluppo Aviation per i mercati asiatici e mediorientali, propone un interessante spaccato della realtà, non conosciuta quanto meriterebbe, rappresentata dalle arrembanti compagnie del Medio-Oriente. “Da Doha, Qatar, dove mi trovo, l’Italia e l’Europa sembrano molto più distanti delle 5/7 ore di volo che li separano: battito economico forte; un melting pot di persone e culture che non solo non spaventa ma che, anzi, viene supportato; e poi ci sono, per venire all’ambito aviation, le MEB3 (Middle East Big 3): Qatar Airways, Emirates ed Etihad Airways. Le quali crescono a ritmi incessanti (+360% di posti offerti sull’Europa negli ultimi dieci anni, 27 Paesi e 47 aeroporti serviti!), hanno enormi ordinativi aeromobili lungo raggio (circa 700, in consegna nei prossimi cinque anni) e poggiano su infrastrutture aeroportuali che rappresentano lo stato dell’arte. Numeri che non possono che generare dibattito, e opinioni discordanti: qualcuno proclama a gran voce che questi vettori godono di incredibili vantaggi economici da parte dei rispettivi Governi; qualcun altro sussurra che la chiave del loro successo è da ricercare nelle pure capacità manageriali (i cattivi aggiungono: “con i soldi è tutto più facile”) di azionare con velocità e costante spregiudicatezza tutte le “4P” del marketing mix. Qualche dato sulle MEB3 che ci riguarda (fonte OAG): l’Italia è il loro terzo mercato in Europa; 4 aeroporti serviti; 1.5 milioni di posti offerti one way/anno; 105 voli settimanali (126, considerando i voli di Ali-had ovvero la programmazione di Alitalia verso Abu Dhabi). Tutta questa offerta ha avuto un effetto espansivo, generando nuovo mercato? Oppure, al contrario, ha semplicemente cannibalizzato il traffico esistente, sottraendolo ai competitor? Dati IATA ci dicono che - fatto 100 il numero di passeggeri che si è imbarcato dall’Italia con le MEB3 nel 2015 - 22 si son fermati a Dubai, Doha e Abu Dhabi (traffico point-to-point, riflesso della crescente attrattività per il segmento leisure, oltre che per traffico MICE e business); 16 si son diretti in Australia e altri 32 hanno viaggiato verso città asiatiche e africane non servite con voli diretti dall’Italia. Tra i restanti 32 passeggeri, che hanno quindi viaggiato verso scali raggiungibili direttamente dall’Italia, Seoul appare la città più gettonata: cannibalizzata quindi Korean Air, o allargato il mercato? Dal 2009 a oggi questa direttrice è cresciuta del 170%, con tariffe medie calate del solo 7%. Su Seoul, inoltre, nel 2015 sono entrate Alitalia e Asiana, e la stessa Korean si è maggiormente strutturata. Insomma, le MEB3 sono e saranno sempre più una realtà con la quale confrontarsi. È vero, hanno ucciso il charter nell’Oceano Indiano e messo in forte difficoltà qualche altro vettore, ma i dati dicono che hanno recuperato moltissimi passeggeri che utilizzavano gli scali europei come hub di transito e, soprattutto, hanno avuto un benevolo effetto espansivo sulla domanda. Ma aggiungo, in chiusura, care MEB3 state attente all’accoppiata Turkish Airlines / nuovo aeroporto di Istanbul (apertura nel 2018, per 150 milioni di passeggeri) perché la ruota è in perenne movimento!"

ghiringhelli-flavio.jpgFlavio Ghiringhelli, già direttore generale di Same Italy Meridiana e da ottobre 2011 Head of Sales Italy di easyJet, dice la sua su network e distribuzione turistica. “L’evoluzione dei network da centrali di acquisto a sistema organizzato e strutturato non è, a mio avviso, ancora avvenuta. In questi anni ho spesso percepito nei vertici delle reti un atteggiamento reattivo (di attesa) più che proattivo (di sviluppo). I concorrenti aumentano, i fornitori pure e spesso tendono a bypassarli, mentre il mercato è sempre quello: anzi, in situazioni di crisi come quella attuale, addirittura si riduce. Cosa fare allora? In altre industrie (es. IT Software e Hardware) la distribuzione dei prodotti e dei servizi viene affidata a partner che garantiscono la copertura di un’area definita e che offrono servizi di vendita e di rappresentanza, addirittura in maniera specialistica (es. Autodesk). Possibile che nessuno abbia ancora pensato di proporsi a un fornitore della travel industry come la sua vera forza vendita? La conoscenza dell’area e dei potenziali clienti (consumatore finale, agenzie di viaggi non facenti parte del proprio portafoglio, aziende) unita alla proattività (on line, via web, e off line, con visite mirate) sono elementi vitali per fornitori vecchi e nuovi, per i quali sarebbero certo disposti a pagare. Se un network evoluto se ne dotasse, ne ricaverebbe immediatamente una nuova fonte di reddito. Possibile che nessuno ci abbia ancora pensato?!".

 

beijing-airport.jpgUmberto Solimeno, dal 2012 Country Manager Italy di Air Canada, è stato appena rieletto presidente IBAR Italian Board Airline Representatives: IBAR riunisce oltre 100 compagnie aeree italiane e straniere, che nel 2014 rappresentano oltre l’85% del trasporto aereo in Italia, pari a 110 milioni di passeggeri trasportati. Grazie al suo osservatorio privilegiato, chiediamo a Solimeno di descriverci gli aeroporti del III millennio. “Chi transita oggi per il Changi di Singapore o per il Chek Lap Kok di Hong Kong fa fatica ad ammettere che svolgano la stessa attività di un aeroporto degli anni ’60 del secolo scorso. Mezzo secolo fa, gli aeroporti nascevano spesso da basi militari, erano rigorosamente in mano pubblica, collocati lontano dalle città. Oggi, dalle città si allontanano (vedi il Flughafen München Franz Josef Strauß che ha preso il posto del München Riem, nel 1992; identico destino del futuro Berlin Brandenburg), ma sono ottimamente collegati. All’epoca, le aerostazioni erano gestite dallo Stato, alla stregua di un bene pubblico; oggi sono in mano a imprese private: l’aeroporto di London Heathrow, ad esempio, è posseduto e gestito da Heathrow Airport Holdings Limited (prima nota come BAA British Airports Authority Plc), consorzio di imprese tra le quali i maggiori azionisti non sono britannici: l’iberica Ferrovial S.A. (25%), Qatar Holding LLC (20%) e la Caisse de dépôt et placement du Québec (13.29%). Una volta, il terminal svolgeva essenzialmente le funzioni di sbarco/imbarco passeggeri, ben rappresentate da un parallelepipedo che da un lato aveva i banchi del check-in e dall’altro i gate; oggi i terminal moderni si espandono verso il landside, perché accumulano servizi e facilities non strettamente collegate all’aspetto tecnico del volo. Per questo, dai corridoi stretti e lunghi, coi soffitti bassi, di una volta, siamo passati a grandi spazi interni, senza barriere architettoniche: l’aeroporto di Pechino-Capitale, il più grande del mondo (in foto), dispone della più grande struttura coperta mai costruita, progettata dall´archi-star inglese Sir Norman Foster. Da spazi chiusi e luci artificiali, dove si faceva fatica a distinguere il giorno dalla notte, siamo passati ad aeroporti dove la luce del sole è sfruttata al meglio, per dare calore e colore, e grandi vetrate rompono la barriera tra esterno e interno. Una volta il tempo trascorso in aeroporto, prima dell’imbarco, era tempo senza valore, speso stancamente in attesa dell’apertura del gate. Oggi gli aeroporti sono attrezzati per rendere l’esperienza del passeggero ricca e gratificante come quella vivibile in centro città: l’Aeroporto Internazionale Incheon di Seoul è dotato di campo da golf, centro benessere, pista di pattinaggio, casinò e pure di un Museo della Cultura Coreana. Nel 2030 si stima che i passeggeri che transiteranno negli aeroporti mondiali saranno più di 10 miliardi (oggi sono poco più della metà): con questi numeri, ovvio desumere che il futuro passi da qui".

 

bisignani-iata.jpgGianni Bisignani, ceo e direttore generale di IATA, in occasione del passaggio di consegne al suo successore Tony Tyler, ha espresso interessanti considerazioni sul mondo dell’aviazione. “L’aviazione è un business incredibile, in grado di superare crisi e shock quali quelli della scorsa decade, che hanno portato alla trasformazione dell’intero settore. La IATA, a partire dal 2004, ha effettuato cambiamenti che hanno permesso di risparmiare oltre 59 miliardi di dollari, ma nonostante ciò i margini netti delle compagnie aeree si son attestati attorno al 3,2%, non raggiungendo il 7- 8% necessario per coprire i costi di capitale. Personalmente vedo una mancanza di efficienza nella catena di valore del mondo dell’aviazione, un mondo che esiste perché le persone desiderano volare e questo desiderio é soddisfatto dalle compagnie aeree. L’intera catena vive quindi del valore creato dalle compagnie aeree che sono, a differenza di altri segmenti del comparto (quali costruttori di aeromobili, sistemi di prenotazione, gestori di aeroporti,  caterer ecc.), inserite in un contesto molto competitivo. La soluzione, in un industria normale, sarebbe il consolidamento, ma le compagnie aeree non sono in grado di trasformarsi in player globali. I grandi cambiamenti degli ultimi anni hanno dimostrato che l’industria dell’aviazione può collaborare nel raggiungimento di risultati favorevoli per tutto il comparto: sono certo che lavorando insieme possiamo cambiare il mondo e Tony Tyler sarà testimone di altri grandi cambiamenti nei prossimi anni”.

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